Come funzionano gli spostamenti al tempo del Covid-19? Qui vi racconto il mio viaggio in treno.
Viaggi in treno
Chi l’avrebbe mai detto che viaggiare in treno sarebbe diventato così strano? Prendo treni da quando ho memoria, li guardo, ci salgo, li uso spesso. Un mio zio era ferroviere e aveva una casetta che affacciava proprio sulla stazione. La stessa stazione dove con i miei andavamo sempre in bicicletta per assaporare l’acqua che veniva dal monte, guardare i treni che passavano e goderci un po’ di verde. Ora in quel luogo non c’è più né la casa, né la fontanella e il verde è stato ricoperto da una colata di cemento. Sembra una storia simile a “Il ragazzo della via Gluck” di Celentano, ma quel luogo mi rimarrà sempre nel cuore.
Ritorno a casa
Adesso, anche ai tempi del Covid-19 non potevo non prendere un treno per rientrare a casa, appena possibile. Ho aspettato tre mesi e mezzo prima di riuscire a tornare. Sono state lunghe settimane passate in casa in cui sono riuscita, come molti, a reinventarmi. Ho conosciuto tante belle persone chiacchierando dai nostri ballatoi, ho imparato e sperimentato ricette, sentito vecchie amiche, lavoricchiato, letto e studiato nuove materie. Adesso però è ora di uscire e saltare su un treno.
Milano-Roma
Chiamo la Regione Lazio per capire come devo fare a partire pochi giorni prima dell’apertura delle frontiere, per evitare il caos generale. “Con la residenza nel Lazio – mi dicono – basta mostrare l’autocertificazione per gli spostamenti ai controlli in stazione e compilare il modulo sul sito della Regione”. Perfetto, il trolley è pronto, il biglietto l’ho comprato, caro ma l’ho acquistato lo stesso. Settanta euro Milano-Roma con una settimana di anticipo. Non importa, sono in fibrillazione. Un misto in realtà tra felicità e ansia dovuta alla strana situazione in cui ci troviamo.
Giugno
Eccomi qua, lunedì mattina, è giugno, mi sembra ieri che indossavo ancora il piumino e portavo il cappello di lana in testa. Finalmente posso recuperare i miei abiti estivi a Roma. La primavera non l’ho percepita quest’anno, è arrivata ed è quasi passata senza che me ne accorgessi realmente. Giungo in stazione un po’ preoccupata, più che altro degli altri, non di me stessa. È come quando la mamma da piccola ti dice che si fida di te ma è del resto del mondo che diffida o che non ti compra il motorino perché sa che tu sei responsabile, ma gli altri sono il problema.
In stazione
Nonostante tutte le varie paturnie, eccomi ai controlli del biglietto, mi lasciano passare e mi indirizzano al binario. Qui c’è una fila di passeggeri con a capo una schiera di poliziotti che ritirano l’autocertificazione e prendono i dati del documento d’identità di ognuno. Una volta passata, cerco la carrozza numero 5, salgo e mi siedo al mio posto, 15B. Accanto a me c’è un foglio con scritto “vietato sedersi qui”. Anche nei sedili a quattro è possibile accomodarsi solo in due postazioni in diagonale. All’esterno di ogni carrozza è posizionato un gel disinfettante. La febbre invece non ce l’ha misurata nessuno. La controllano nei supermercati, quando una persona fa dieci minuti di spesa e non la misurano su un treno che resterà chiuso con decine di passeggeri a bordo per almeno tre ore, nel mio caso. Quattro per chi scende a Napoli e cinque per chi arriva da Torino e raggiunge il capolinea. Bizzarro.
Viaggio
I servizi riservati alla prima classe sono sospesi, neanche il WiFi di bordo funziona, l’hanno appena annunciato. Bene. Io intanto scrivo. A Rogoredo sale una coppia di anziani, si tengono la mano ma devono lasciarsela per sedersi in diagonale, come previsto. A lui la mascherina dà fastidio e si lamenta, lei si limita a sospirare. Dopo 3 ore e 40 finalmente arriviamo a Roma Termini. Scendo e già sono più tranquilla, l’aria di casa fa sempre bene.
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Testo: Giulia Di Giovanni Foto: Mauro Di Giovanni
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