Oggi, 25 novembre, ricorre la Giornata contro la violenza maschile sulle donne.
Femminicidio
Il fatto che il mio foglio word mi evidenzi in rosso la parola femminicidio mi fa riflettere, e molto. Quando poi penso di scrivere un articolo in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, mi sento dire che di quella sugli uomini non se ne parla mai. Forse c’è bisogno di fare chiarezza. È vero, sembrerebbe che l’80% delle vittime di omicidi siano maschi e che è più probabile che gli autori di tali delitti siano uomini piuttosto che donne. Questo a livello generale, il femminicidio è tutt’altra faccenda.
Maschicidio
Secondo recenti indagini, sembrerebbe che milioni di uomini siano ogni giorno oggetto di minaccia da parte delle proprie compagne. Tale violenza però si tradurrebbe, nella maggioranza dei casi, in graffi, morsi, capelli strappati, calci, pugni o lancio di soprammobili. A differenza della violenza esercitata sulle donne, gli atti che possono mettere a repentaglio la vita di un uomo con il decesso, sembrerebbero dunque di gran lunga inferiori. L’argomento è senza dubbio delicato e complesso ma forse è questo il motivo per cui si parla maggiormente di femminicidio. Non perché l’omicidio di un uomo per motivi di gelosia o vendetta sia meno importante, ma perché non sembrano esserci numeri statistici tali da poter parlare di un fenomeno immenso come quello della violenza sulle donne. Comunque, a prescindere dai dati, tutta la violenza di genere deve essere condannata, che sia su un uomo, su una donna o su bambini. Oggi, in data 25 novembre, l’attenzione è posta sulle donne e sulla Giornata contro la violenza maschile su di esse.
Perché il 25 novembre
È l’assemblea dell’Onu che nel 1999 istituisce la data del 25 novembre in ricordo del sacrificio delle sorelle Patria, Maria Teresa e Minerva Mirabal. Le tre ragazze, di 25, 34 e 36 anni, sono uccise nel 1960 dagli agenti del dittatore Rafael Leonidas Trujillo a Santo Domingo. Vent’anni dopo la morte delle Mirabal, nel 1981 a Bogotà, si tiene uno storico convegno femminista. È in questa occasione che si decide la data del 25 novembre per la Giornata contro la violenza maschile sulle donne che celebriamo oggi in tutto il mondo.
Eventi e simboli contro il femminicidio
Uno dei simboli più utilizzati per denunciare la violenza sulle donne sono le scarpe rosse, lasciate in molte piazze. Un’idea dell’artista messicana Elina Chauvet che risale al 2009 con l’opera Zapatos Rojas. L’installazione appare per la prima volta davanti al consolato messicano di El Paso, in Texas, per rivolgere un pensiero alle centinaia di donne rapite, stuprate e uccise a Ciudad Juarez.
Per onorare il 25 novembre, in molte città italiane oggi vengono posizionate anche panchine rosse, simbolo della lotta alla violenza di genere. A Milano, l’amministrazione comunale ha organizzato moltissimi eventi online. Inoltre, dieci panchine rosse sono poste all’interno del parco dell’Idroscalo, per sensibilizzare i cittadini. Su ogni panca è fissata una targa con numeri di telefono di realtà locali e nazionali a cui possono rivolgersi le donne che hanno bisogno d’aiuto.
Scende in campo, come sempre, anche l’associazione Non una di meno che sarà nelle piazze di molte città italiane, fisicamente e in streaming, con azioni, presidi e flashmob distanziati, al grido di “se ci fermiamo noi, si ferma il mondo!”
Quale violenza
Isaac Asimov diceva “La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci”, e non esiste alcuna spiegazione morale né culturale per cui usi, costumi, religione o tradizioni possano giustificare tali atti. La violenza non è solo quella fisica, di percosse, calci, pugni, ma siamo davanti a varie altre tipologie: psicologica, stalking, molestie, violenza sessuale, matrimonio forzato, mutilazioni genitali femminili (qui il mio articolo), aborto forzato e sterilizzazione forzata.
Mi viene in mente, e giuro che concludo, la toccante poesia “Minerva Jones” di Edgar Lee Masters, tratta dall’Antologia di Spoon River, che ho portato in scena durante una lezione di teatro lo scorso anno:
“Sono Minerva, la poetessa del villaggio,
fischiata dai villanzoni della strada
per il mio corpo goffo, l’occhio guercio, e il passo largo.
E tanto più quando “Butch” Weldy
mi prese dopo una lotta brutale.
Mi abbandonò al mio destino col dottor Meyers;
e io sprofondai nella morte, gelando dai piedi alla faccia,
come chi scenda in un’acqua di ghiaccio.
Vorrà qualcuno recarsi al giornale,
e raccogliere i versi che scrissi?
Ero tanto assetata d’amore!
Ero tanto affamata di vita!”
____________________________
Testo: Giulia Di Giovanni
Foto: Pixabay (copertina) e Mauro Di Giovanni
Se l’articolo ti è piaciuto, ricordati di mettere un LIKE qui sotto o lascia un commento: per me rappresenta un feedback di apprezzamento molto importante! Vuoi essere sempre aggiornato sulle ultime news pubblicate? Seguimi sulla pagina Facebook @blogmessaafuoco o sulla pagina Twitter @InfoMessaafuoco o su Instagram @blog.messaafuoco
Grazie!
____________________________