A colazione, a merenda, dopo cena, è sempre il momento per gustarsi un buon babà. Nascita e tradizione del dolce partenopeo.
Chi prende un treno, la macchina o un aliscafo e arriva a Napoli di certo avrà l’imbarazzo della scelta per le leccornie proposte dalla cucina partenopea. Sicuramente non bisognerebbe ripartire senza aver assaggiato un buon babà. E allora capiamone di più su questo complesso dolce. Partiamo dal suono della parola. La seconda bi è leggermente raddoppiata ma senza calcare troppo, come farebbe un romano, e senza sussurrarla come farebbe un francese. Un suono di successo e facile da ricordare. Le prime due lettere dell’alfabeto, talmente semplici da pronunciare che per i greci identificavano i popoli privi di una lingua costruita, bar bar, barbari appunto.
I napoletani hanno moltissime espressioni che associano il carattere a uno stato fisico più che mentale. Ciò vale anche per il cibo, principale preoccupazione cittadina con cui Napoli ha avuto a che fare dal ‘600, quando già era una metropoli, fino agli anni ’60 del ‘900, quando l’angoscia dell’assenza di cibo era terminata. Ecco perché “si nu’ babbà” detto ad una persona indica qualcuno dal carattere dolce o bravo a fare qualcosa.
La storia
Il babà si iscrive originariamente tra i dolci di città perché è necessaria grande esperienza per prepararlo, forni pubblici e una profonda conoscenza dei tempi di lievitazione rapportati alla temperatura esterna e all’umidità presente nell’aria. È un dolce da passeggio, si compra e si mangia proseguendo per la propria strada, senza bisogno di piatti o posate.
Una tipicità partenopea che però non nasce alle falde del Vesuvio bensì in una cittadina francese, al confine con la Germania, chiamata Luneville. A inventarlo fu il re polacco Stanislao Leszczynsky, suocero di Luigi XV di Francia. Si dice infatti che il re un giorno abbia bagnato nel Madeira una fetta di kugelopf, un dolce austriaco simile al panettone, e che da quel momento lo abbia voluto sempre così. La sua grande passione per la cucina lo portò a nuove e complesse elaborazioni con un impasto lievitato tre volte. La forma diventa quella della cupola di Santa Sofia e il nome scelto è quello di Ali Babà, protagonista di Le Mille e una notte. Più tardi, eliminata l’uvetta, aggiunto il burro e una spennellata di marmellata di albicocche per salvare la bagna più a lungo, si passa da Ali Babà a Babà.
Il dolce è simbolo del filo diretto che lega Napoli a Parigi da tre secoli a questa parte. Un legame nato quando Maria Antonietta sposa Luigi XVI mentre la sorella Maria Carolina si lega nel 1768 a Ferdinando IV di Borbone. Nasce da questo legame l’epoca del gattò, della besciamella, del gratin, degli choux e di tutti quei termini francesi e francofoni con cui la cucina napoletana conosce l’influenza d’Oltralpe più di un secolo prima del suo affermarsi in Italia come nouvelle cusine.
Già nel 1836 il babà appare come dolce tipico napoletano nel primo manuale di cucina italiana. Status symbol, poi tradizione, il babà entra nelle case di tutti, segna la pasticceria del Regno delle due Sicilie e poi dell’intera Italia.
Ingredienti per 10 persone
Per la pasta:
- 240 grammi di farina
- 80 grammi di burro
- 40 grammi di zucchero
- 4 uova
- 20 grammi di lievito di birra
- 4 grammi di sale fino
Per lo sciroppo:
- 30 centilitri d’acqua
- 160 grammi di zucchero
- 15 centilitri di rhum
Per ungere:
- 50 grammi di burro
Procedimento
Con un terzo della farina creare un panetto sciogliendo il lievito di birra in tre cucchiai di acqua tiepida. Dopo aver amalgamato il tutto lasciare lievitare per 30 minuti. Successivamente aggiungere le uova e il burro morbido e mescolare con il resto della farina, lo zucchero e il sale. Ottenuto un impasto morbido lasciare riposare per 40 minuti. Una volta cresciuto, metterlo in 10 formine unte di burro e far lievitare nuovamente. Infornare poi a 180° per 15 minuti circa. Intanto potete preparare lo sciroppo facendo bollire un paio di minuti l’acqua con lo zucchero. Mettere poi i babà uno per uno su un piatto fondo e versare lo sciroppo caldo con il rhum. Lasciare riposare e poi servire. Abbinando i dolci appena sfornati con un bicchiere di Moscato si ha una combinazione che è “nu’ babbà”.
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Testo e foto: Giulia Di Giovanni
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