Undici anni dopo il sisma tornare all’Aquila e vedere ancora tutte quelle macerie fa stringere il cuore. Una città verso la rinascita.
L’Aquila ieri
Ricordo quel giorno come fosse ieri. Il 6 aprile del 2009 alle 3.32 la terra all’Aquila trema. Non si tratta di una scossa leggera ma di una di magnitudo 6,3. La città, nel cuore della notte, viene rasa al suolo dal terremoto. L’Abruzzo trema. L’Italia centrale trema.
In quel periodo frequento ancora il liceo e in uno dei tanti telegiornali che guardo durante quelle terribili giornate ritrovo lì, tra le macerie, una mia compagna di classe. È andata a trovare il fidanzato aquilano per il weekend e progetta di tornare a Roma quel lunedì mattina. È anche incinta, mi vengono i brividi. Parla con la giornalista che la sta intervistando e racconta l’accaduto. I muri della casa che iniziano a tremare, i pavimenti che crollano e la gente nel panico che si riversa in strada.
Bilanci
Nei giorni successivi il bilancio definitivo è di 309 morti, 1.600 feriti e oltre 10 miliardi di euro di danni. Economici. Perché quelli umani, affettivi e psicologici non si possono quantificare. Intanto la città viene quasi del tutto evacuata e vengono costruite le famose e controverse “casette” volute da Berlusconi e Bertolaso.
La nostra casa, in provincia dell’Aquila, per fortuna non ha subito danni. In paese da noi nessuno ne ha avuti. Quando mi capita qualche fine settimana di dormire lì in quel periodo però lascio sempre la porta di camera aperta, le grate della finestra spalancate e un caschetto sotto al letto.
L’Aquila oggi
Oggi, ad agosto del 2020, 11 anni e 4 mesi dopo il sisma aquilano, torno in quello che un tempo era uno splendido capoluogo abruzzese. Mio cugino lavora qui e ci fa fare un tour della città. La via dove abita lui, in pieno centro, è totalmente nuova, i palazzi sono finemente e accuratamente ristrutturati. La via accanto invece è piena di impalcature e macerie. Passiamo sotto a un “ponte” di ferro che serve a sorreggere due palazzine poste l’una di fronte all’altra. Per strada non c’è un’anima. Arriviamo in piazza del Duomo, grande, immensa come la ricordavo da piccolina. La associo vagamente a piazza Navona, a Roma. Non so perché, forse per la sua forma rettangolare, le fontane, i mercatini e gli ambulanti che vendono palloncini.
Qui la chiesa di Santa Maria del Suffragio è bellissima, imponente, bianca e splendente, fresca di restauro. A pochi metri di distanza troviamo il Duomo che invece, purtroppo, ancora sembra fermo alle condizioni in cui era 11 anni fa.
Centro storico
Corso Vittorio Emanuele è pieno di gente e decidiamo di svoltare in una stradina laterale che ci conduce in piazza Nove Martiri, bellissima piazzetta restaurata dedicata agli aquilani trucidati dagli invasori nazisti il 23 settembre del 1943.
Dopo qualche foto torniamo verso casa di mio cugino. Vedere un palazzo restaurato o nuovo accanto ad altri due rasi al suolo, ci fa ancora effetto. Passiamo accanto ad una ex scuola. Le mura esterne sono inesistenti e si vede una fila di sciacquoni al secondo piano penzolare giù verso il basso. Quel lunedì in quella scuola chissà quanti bambini ci sarebbero andati.
Fontana delle 99 Cannelle
Riprendiamo la macchina e come ultima tappa ci dirigiamo verso la famosa Fontana delle 99 Cannelle. Perché 99 e non 100? Scopro che il numero di questa città è proprio 99. Ci sono, o almeno un tempo c’erano, 99 piazze, 99 fontane e 99 chiese. La leggenda infatti narra che nel 1400 si decise di dare vita a una città madre riunendo le popolazioni di 99 castelli. Ogni signore aveva il compito di far costruire, nella propria area di competenza, una piazza con una fontana al centro e una chiesa.
Verso le sette di sera rimontiamo in macchina, carichi di emozioni ed empatia per una città bella, bellissima, ma troppo spesso dimenticata e abbandonata a se stessa.
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Testo e foto: Giulia Di Giovanni
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